Lo Scartamento Ridotto in Sicilia
Nel 1863 venne aperto il primo tronco ferroviario siciliano che collegava Palermo a Bagheria (13km) e tra il 1874 ed il 1884 vennero realizzati 300 km di strada ferrata suddivisi in due grandi linee: Messina – Catania – Siracusa e Palermo – Trapani – Girgenti – Porto Empedocle. Esse favorivano l’industria estrattiva e collegavano le zone interne ricche di giacimenti con i principali porti, trascurando il trasporto dei passeggeri sui tracciati distanti dai centri abitati.
La costruzione delle linee a scartamento ridotto avvenuta negli anni successivi, con percorsi più diretti ed economici, significò per molti centri dell’interno l’unica possibilità di collegamento con il resto del territorio ed in generale una possibilità di creare in modo più concreto l’unificazione d’Italia.
Nell’Italia meridionale ed insulare tali reti erano un elemento politicamente indispensabile per riscattare dall’arretratezza e dalla miseria le zone più povere del nostro paese, nonostante interessassero percorsi con traffici estremamente contenuti. In Sicilia, dopo l’apertura nel 1910 dei primi tratti a scartamento ridotto, il cui esercizio fu affidato alle FF.SS. , il progetto della rete complementare venne attuato quasi nella sua interezza, concludendosi nel 1935.
A quella data, lo Stato gestiva in totale 560 km di ferrovie a scartamento ridotto, suddivise in 10 linee. La linee tracciate vennero dotate di impianti e mezzi rilevatisi sovrabbondanti: molti rotabili vennero trasferiti nelle colonie o venduti ed alcune stazioni furono presto ridotte a fermate impresenziate.
Erano i costi della trazione a gravare in modo rilevante sulle linee a vapore. Dopo alcuni esperimenti per introdurre la trazione Diesel, tra il 1931 ed il 1934 l’automotrice termica venne introdotta su molte linee a scartamento ridotto non elettrificate.
Breve Storia dello scartamento ridotto
Quasi tutte le regioni italiane hanno avuto una propria ferrovia a scartamento ridotto: un mondo “minore”, non privo però di carattere e di fascino, sia dal punto di vista tecnico che umano. Le vicende dello scartamento ridotto italiano possono essere suddivise in due grandi fasi: prima lo sviluppo dal 1880 fino alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, poi un lungo tramonto legato ai limiti strutturali e a precise scelte politiche.
La nascita e lo sviluppo delle ferrovie a scartamento ridotto avvenne, in Italia come in Europa, quando, definita la rete ferroviaria fondamentale, occorreva costruire quella complementare e secondaria.
La limitata disponibilità di risorse imponeva di ridurre al minimo investimenti dove si prevedevano solo modesti volumi di traffico: lo scartamento ridotto consentiva un risparmio sui costi di costruzione intorno al 30%.
Esso permetteva inoltre di realizzare tracciati che seguivano il più possibile l’andamento del terreno riducendo il numero e l’importanza delle opere d’arte. La ridotta larghezza del nastro stradale determinava inoltre superfici di occupazione più modeste e quindi costi di esproprio più bassi. L’elevata tortuosità e le forti pendenze rendevano assai basse le velocità commerciali. L’adozione dello scartamento ridotto determinava inoltre, per i viaggiatori e per le merci, le necessità di trasbordo presso le stazioni di corrispondenza.
A quei tempi però questi ed altri limiti erano tuttavia tollerati. Infatti non esistevano alternative alla strada ferrata per la velocizzazione del trasporto: le prestazioni offerte dalle piccole ferrovie, oggi assolutamente anacronistiche, risultavano allora decisamente significative.
Con la legge Baccarini n° 5002 del 25 luglio 1879 giunse in porto il travagliato processo di definizione della rete ferroviaria complementare, da realizzare con la costruzione di 6.000 km di linee ferroviarie.
Il tracciato del treno
Percorrere tanti, tanti chilometri ornati dal fumo di una vaporiera era il modo migliore per conoscere bene un paese. La ferrovia non invade prepotente i panorami, piuttosto si fonde e si armonizza con essi, infiltrandosi discreta fin nei luoghi più remoti.
L a stazione capolinea di Palermo Sant’Erasmo si trovava sulla sponda sinistra del fiume Oreto, presso la sua foce. Oggi il sito è facilmente individuabile, in quanto il fabbricato viaggiatori è stato demolito alla chiusura della linea. Appena usciti dal piazzale si varcava il fiume Oreto su un ponte in ferro, anch’esso non più esistente. I passeggeri potevano osservare a destra su via Messina Marine file di casse basse, tra le quali si scorgeva la lussureggiante campagna della Conca d’Oro. A sinistra la splendida vista del mare e del golfo di Palermo era praticamente indisturbata. Dopo Acqua dei Corsari il binario si inoltrava in costante salita attraverso ricchi agrumeti, raggiungendo dopo Portella di Mare la vallata dell’Eleutero. Passata Misilmeri, si entrava nel tradizionale latifondo coltivato a grano. Si scendeva sul fondovalle e si passava il fiume Eleutero sul ponte viadotto Mortilli. Il tracciato, da questo punto e fino a poco prima della stazione di Villafrati, è stato cancellato negli anni sessanta per la costruzione della superstrada Palermo – Agrigento, (oggi SS121 –SS189). La linea si inoltrava in salita verso ovest nel vallone del torrente Gaziuolo con vista su Rocca Busambra. Si giungeva alla stazione di Godrano.
Da qui il trenino si inoltrava nel Bosco della Ficuzza, varcando lo spartiacque con la breve galleria dei Gargioli e proseguendo con un percorso sinuoso nel bel mezzo del bosco.
Dopo Ficuzza, il treno attraversava un paesaggio via via più aperto. Valicava il fiume Belice sinistro e risaliva lentamente a Corleone. Il tracciato proseguiva tortuosamente tra colline a frumento fino a Contessa Entellina. Oltre Chiusa Sclafani, si affrontava una ripida discesa nella alberata valle del Maltempo, attraversando alcune gallerie, di fronte alla rupe di Giuliana. Sboccati nella larga vallata di San Carlo si vedeva in basso la linea in arrivo da Castelvetrano, a cui si affiancava in ingresso a San Carlo. Si passava il fiume Sosio su un viadotto a 13 arcate e, risalendo le pendici della valle del Verdura, si terminava la corsa al capolinea di Burgio, con vista a destra sulla rupe di Caltabellotta.
Lungo le linee delle ferrovie dismesse, ponti e stazioni rivestono un ruolo importantissimo. I primi offrono delle belle vedute sul paesaggio circostante, mentre le seconde, riutilizzate per allestire bar, ristoranti, hotel, ostelli o musei, tornando “a svolgere quella che era la loro funzione originaria ai tempo della ferrovia: segnare una pausa durante il viaggio”
(G. Perrin, 1993)
La linea Palermo – Corleone – Burgio
Le prime ipotesi su una linea da Palermo verso l’interno della Sicilia risalgono al 1960, quando fu ideata la rete fondamentale dell’isola.
Nel 1873, il Consiglio Provinciale nominò una commissione per lo studio di una tranvia a vapore a scartamento ordinario che doveva giungere a Corleone e Chiusa Sclafani. Più tardi, si ritenne più conveniente una linea a scartamento ridotto. Nel 1979 il Consiglio diede il via alla costruzione della linea per Corleone, affidando il progetto all’ingegnere Achille Albanese.
I lavori furono dati in sub concessione all’imprenditore inglese Robert Trewhella, lo stesso artefice della Circumetnea. I lavori, iniziati nel 1884, si conclusero nel 1886.
La società che gestiva la linea “The Sicilian Railways Company Limited of London” fu poi rinominata “Società Anonima per le Ferrovie Siciliane”. Nel 1889 il Consiglio Provinciale Stanziò £. 25.000 per lo studio di un prolungamento della linea fino a San Carlo. La linea avrebbe dovuto raggiungere la litoranea Castelvetrano – Agrigento, ma fu scelto come capolinea San Carlo in quanto l’ultimo centro in provincia di Palermo sul tracciato. Anni dopo, fu aperto un prolungamento di pochi chilometri fino a Burgio. La linea però non sfociò mai sul Mar d’Africa. Nel 1892, il Consiglio Provinciale approvò la delibera per la costruzione della ferrovia, sub concessa alla “Società Siciliana per le Ferrovie Economiche”. I lavori si conclusero nel 1903 con l’inaugurazione della Corleone – San Carlo.
Negli anni seguenti si verificarono numerosi mutamenti nelle società gerenti la tratta: nel 1910 la SAFS, che aveva gestito la linea senza contributi statali, fu assorbita dalla “Società Ferrovie Economiche”. Nel 1922, tutta la linea venne riscattata dallo Stato e data in gestione alle FF.SS., che vi inserirono il proprio materiale rotabile, tra cui le locomotive R301 e R302. A cavallo tra gli anni venti e i trenta, si sperimentarono tre nuove automotrici: nel 1928 la CER 870.001, subito riclassificata RNE 8501, e nel 1931 le RCE 862.001-002 (poi RNE 8901 – 9802).
I tempi di percorrenza erano di quasi sei ore all’epoca dell’inaugurazione e di tre ore e tre quarti negli ultimi tempi. Le corse divennero più veloci con l’introduzione dei mezzi leggeri, nel 1950, e con l’entrata in servizio delle RALn 60. Le velocità massime erano comunque soltanto di 30 km orari per i treni a vapore e 50 km orari per le automotrici RALn60.
Dal 1° settembre ebbe termine il servizio bagagli e merci fino a Corleone .
Un treno misto rimase in servizio fino alla chiusura di tutta la linea, avvenuta il 1° febbraio 1959.